Paola Romano. Lo Specchio dell'Oltre
Curator: Roberto Capitanio e Maurizio Vanni
Roberto Capitanio Software Engineer
FINALMENTE (SINONIMO DI “ERA ORA”)!
È con questa esclamazione che inizio questo mio testo, volendo con essa rappresentare tutta la mia soddisfazione, il mio orgoglio e la mia gioia per la prima mostra in assoluto di Paola Romano composta esclusivamente da opere “lune ma non lune”.
Definizione, quest’ultima, paradossale ma che mi consente di riassumere lo spirito del progetto lucchese ovvero che è ormai giunto il momento di far conoscere “ufficialmente” agli appassionati d’arte contemporanea che la “signora delle lune” non realizza soltanto le opere che tanto successo e notorietà continuano a darle ma che ella ricerca, studia e lavora anche altri materiali come il bronzo, l’acciaio, il legno, i pellami e le stoffe con cui plasma forme e volumi in alcuni casi diversi in altri casi similari al tanto amato e citato satellite terrestre.
Opere, queste ultime, gelosamente custodite nello studio dell’artista e che ogni tanto hanno fatto una occasionale e timida apparizione in qualche mostra o libro biografico della Romano. Ricordo con piacere, a tal proposito, la doppia mostra cassinate del 2016 nella quale allestii la Sala Pietro Malatesta con opere appartenenti esclusivamente alla serie delle “plastiche” mentre nella Rocca Janula, invece, proposi soltanto le famose “lune”, intravedendo sin da allora le potenzialità artistiche, la bellezza e la univocità delle opere realizzate da Paola in plastica e pelle colorata.
Niente di nuovo, diranno i soliti ben informati, queste opere della Romano sono delle normali estroflessioni già viste in Castellani e Bonalumi e riviste tante volte con altre firme. Assolutamente no! Le estroflessioni, intese come tali, sono il frutto di rigorosi progetti esecutivi nei quali tutto è scientificamente e geometricamente calcolato, dal telaio alla tensione della tela, dai punti di tiraggio alla struttura portante dell’opera. Le “plastiche” di Paola Romano sono, invece, modellate a mano alla stregua di enormi sculture in creta o in plastilina il cui unico intervento “progettuale” è fornito dal materiale iniettato al retro del pellame o tessuto in maniera da irrigidirne il volume e preservare nel tempo le forme scaturite dalla sapienza dell’artista. Nessuno schema preliminare, quindi, se non le sensazioni che l’artista recepisce nel momento stesso della messa in opera del manufatto, sensazioni che daranno vita a piegature, a ombre, a riflessi, a salite e a discese trasmigabili alla vita e al quotidiano di ognuno di noi.
Le uniche eccezioni progettuali che la Romano si concede nella preparazione delle “plastiche” sono date dalla scelta preliminare dei materiali che obbligatoriamente devono essere di primissima qualità e dal decidere la forma dell’opera da realizzare che potrà essere circolare oppure rettangolare. In molti casi ella ha anche realizzato delle opere composte da più parti, perfettamente coincidenti, come se fossero una sorta di giganteschi puzzle le cui tessere potevano essere dello stesso colore oppure no, dello stesso materiale anzichè no. In altri casi ha preferito racchiudere e proteggere le forme rivelatesi dalle sue mani in teche di plexiglass, quasi a voler citare in maniera assolutamente personale ma senza per questo copiarli artisti dell’arte povera come Daniel Spoerri e Piero Gilardi.
Dicevo dei materiali che devono essere di grande qualità, la Romano infatti usa soltanto pellami lucidi o opachi e tessuti in velluto o alcantara utilizzati dalle più prestigiose case internazionali produttrici di divani e poltrone, al fine di assicurare lunghissima vita alle sue opere e di renderle in grado di superare indenni le intemperie della polvere e dell’umidità ambientale a cui necessariamente esse saranno esposte.
A una lettura superficiale le “plastiche” di Paola Romano potrebbero sembrare tutte uguali, cosa che in realtà non è in quanto non esistono e mai potranno esistere due opere aventi lo stesso profilo “altimetrico”. E già basterebbe questa caratteristica “volumetrica” a confermare che le “plastiche” realizzate da Paola sono tutte diverse, ma non è possibile dimenticare le differenze date dalla tipologia scelta (circolare o rettangolare), dal materiale, dal colore, dalla lucidità oppure opacità del materiale stesso e, infine, dalla dimensione. Aggiungo, inoltre, per quanti avessero dimenticato alcuni eventi importanti della storia dell’arte che anche i “tagli” di Lucio Fontana e le “nature morte” di Giorgio Morandi SEMBRANO essere tutti uguali. Ad avercene.
L’incontro fra Paola Romano e il LUCCA Museum è avvenuto a causa di una di quelle occasioni che non “era scritta”. Ero a un pranzo/confronto con Maurizio Vanni, direttore del LUCCA Museum, e per puro caso venne fuori il nome di Paola Romano, artista che Maurizio conosceva e che giudicava compatibile con le linee espositive del museo da lui diretto. Avendo un rapporto diretto con Paola per il fatto che in precedenza le avevo organizzato altre mostre, fra cui l’ultima e più prestigiosa nel Museo dell’Abbazia di Montecassino, le raccontai di questo episodio e da quel momento nacquero una serie di relazioni che successivamente portarono alla conoscenza fra l’artista laziale e l’importante museo lucchese.
Da subito, peraltro, ho avuto la convinzione che gli spazi del LUCCA Museum e la sapienza di Maurizio Vanni fossero il giusto mix per esprimere al meglio la qualità delle “plastiche” di Paola Romano. Ho la certezza, infatti, che le opere di Paola sono in grado di avere una propria personalità pur se messe a confronto con i grandi nomi periodicamente presenti nelle mostre istituzionali del museo toscano.
Le antiche pareti, gli ambienti scarni ma di classe, l’accesso panoramico dalla città sono tutti elementi in grado di valorizzare il fascino delle opere della Romano, la cui selezione è stata concepita, appunto, sulle caratteristiche proprie degli ambienti museali cercando di non esporre “tanto per” ma scegliendo quelle opere che in base alle dimensioni e ai colori potessero esse stesse essere valorizzate ma che al contempo dessero la giusta dignità al luogo espositivo.
Una piccola grande mostra certamente, fatta di poche opere ma tutte assolutamente significative tanto da poter essere definita una antologica delle “plastiche” di Paola Romano.